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La storia dimenticata del campo di concentramento di Taranto

Andrea Chioppa - 31 Gennaio 2022

Questa è una di quelle pagine di storia che, col tempo, finiscono nell’oblio. Si tratta spesso di storie che racchiudono vicende scomode, episodi che suscitano vergogna e che quindi conviene gettare nel dimenticatoio. Come ogni ultima settimana di gennaio, in ogni città d’Italia hanno avuto luogo una lunga serie di cerimonie e commemorazioni in merito alla Giornata della Memoria ed al ricordo della tragedia infernale dell’Olocausto, della deportazione e quindi dello sterminio di milioni di persone nei campi di concentramento ad opera dei nazisti.

Tuttavia, non sono esistiti solo campi di concentramento nazisti. Diversi furono i campi di transito, prigionia e contumacia costruiti dagli alleati, principalmente dagli inglesi. La maggior parte erano sparsi in Africa, Australia, Inghilterra, Grecia, India e in Sud Italia a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943. In questi campi di diversa tipologia e dimensioni furono internati decine di migliaia di prigionieri, classificati come P.O.W – “Prisoners of War” – (prigionieri di guerra), tra cui migliaia di italiani. Giusto per citarne qualcuno, in Italia si ricordano i campi di Afragola (NA), Ferramonti di Tarsia (CS) e Altamura (BA).

Nella foto il campo 65 di Altamura costruito nel 1942

Forse meno noto ma che conserva una storia del tutto rispettabile fu il campo Sant’Andrea di Taranto. Costruito nel ’44, svolse principalmente la funzione di campo di transito e di prigionia per soldati tedeschi, russi e greci. Nell’ottobre del 1945 ad essere trasferiti a Taranto furono migliaia di soldati dell’esercito italiano catturati sui campi di battaglia e tra loro anche soldati della X° Mas e criminali comuni. All’incirca ventimila furono quanti transitarono dal campo, la metà di essi trascorse un periodo di diversi mesi in prigionia, diverse centinaia furono i morti…forse qualche migliaio.

Spaventose le condizioni igieniche in cui i prigionieri erano costretti a vivere, rinchiusi in delle baracche di legno o in tende militari senza un letto, privi di servizi igienici, esposti a epidemie, al freddo e con scarsissime razioni di cibo. Ben presto, il campo fu soprannominato “campo della fame”.

Nel febbraio del 1946 intervenne la Curia Arcivescovile di Taranto che grazie alla Pontificia Commissione di Assistenza si prodigò nel far arrivare dal Vaticano vestiario, viveri e beni di prima necessità oltre ad occuparsi della corrispondenza privata dei prigionieri con le famiglie. Intenti a migliorare le condizioni del campo furono numerosi i gesti di solidarietà e sussistenza dei tarantini, a partire dai commercianti. A seguito di una serie di rivolte interne, il campo fu progressivamente abbandonato prima dagli inglesi e successivamente dai prigionieri rimasti. La maggior parte di loro erano ragazzi di vent’anni costretti a subire l’orrore di una guerra.

Corriere del Giorno, 28 marzo 1946

Questa storia dopo non molto tempo finì nell’oblio. Il campo “S” – per i prigionieri generici – in contrada Sant’Andrea si componeva di almeno quattro forse cinque sotto campi: “T” per i reduci di Russia; “D”, “A” e “R”, per i recalcitranti – soldati delle SS e italiani che aderirono alla repubblica di Salò – Ogni sotto campo era a sua volta frazionato in settori numerati, chiamati “pens” (pollai). Di tutta la struttura del campo principale, il campo “S”, ancora visibile tra il centro commerciale Ipercoop e l’ippodromo, è rimasto ben poco. Sono ancora visibili soltanto i basamenti delle baracche, l’impianto stradale e fognario. Fare memoria è un dovere morale!